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Mio fratello, Mario Cantarutti, nato nel 1918 a Navarons di Meduno, in zona invasa dagli austro-tedeschi, nel corso del primo conflitto mondiale, dopo la rottura del fronte a Caporetto, era - come soleva dire mia madre - un bambino di guerra.
Militare di leva, carrista a Udine prima, poi a Bologna, appena dichiarata la guerra, nel giugno del 1940, fu inviato in Piemonte e, caduta la Francia, dopo un breve ritorno a Bologna, il suo reparto venne destinato a raggiungere la Libia. Ho esitato a lungo prima di aprire il plico delle lettere di mio fratello Mario pervenute ai miei genitori a Spilimbergo, nel corso della guerra che si combatté in Africa Settentrionale dal 1940 al 1943. Sono, tra lettere e cartoline in franchigia, una novantina e permettono di seguire l'itinerario di un ragazzo ventiduenne militare di leva nel corpo dei carristi, da un capo all'altro del fronte libico. Le innumerevoli pagine nulla raccontano della guerra. Si riesce però a cogliere gli stati d'animo d'uno tra i tanti ragazzi mandati ad affrontare le vicende d'un fronte del conflitto che durò dal 1940 al 1945, propagandato con la gran retorica tipica del fascismo e sostenuto soprattutto da chi non vi era implicato di persona o attraverso i parenti e i figli.